Nessuno avrebe pensato a tempi così rapidi, eppure è successo.
Il tentativo di Salvini di infilare un superfascista del suo entourage alla presidenza della RAI è in corso, con qualche difficoltà per contraddizioni interne ai partiti di destra.
Quello che è poco noto, è che il Foà è un compagno di merenda del ben noto Diego Fusaro, pierino filosofeggiante di ogni trasmissione TV di questi ultimi anni, sedicente ultramarxista, attento ma maldestro falsificatore ideologico, teorico di qualcosa di apparentemente vaga, fumosa, ed indefinita, che in realtà coincide esattamente col fascismo. Il tentativo di Salvini è quello di infilare, in uno con Foà, il suo vate Fusaro ai vertici RAI.
Vi invito a visionare il video:
https://www.youtube.com/watch?v=Ae2LnC0Ql6I&t=486s
Riepilogando:
Il proletariato è una classe in via di esaurimento, la stessa sorte tocca alla borghesia, entrambe sussumibili nella nuova classe del “Precariato”.
Il Precariato è la unica, vera classe oppressa. Da chi è oppressa, chi è il nemico? Facile: è la non meglio specificata “FINANZA APOLIDE INTERNAZIONALE” di cui si fornisce un solo volto, quello di Soros, nemico n.1 del mondo intero.
Abbiamo tralasciato tutte le stupidaggini pseudo filosofiche raccattate nei vari Bignami ed enunciate con la pompa di chi è il vero grande maestro e tentiamo di capire cosa c è dietro queste stupidaggini.
- Negare non solo il ruolo centrale del proletariato nella dinamica sociale ma addirittura la sua esistenza come classe autonoma.
- Negare l’esistenza della sua naturale antagonista, la classe dei borghesi che si appropriano del plusvalore.
- Creare una finta classe, il PRECARIATO, per giustificare un totale interclassismo che, come tutte le forme di interclassismo, conduce alla sottomissione economica, ideologica e sociale della classe operaia.
- Creare un nemico inafferrabile, senza volto, causa di ogni sciagura, contro il quale deviare e rendere inoffensiva la rabbia sociale,
E’ esattamente la linea politica di Mussolini negli anni 20,di Hitler negli anni 30, e di tutti i governi fascisti succedutisi negli anni.
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Sui fondamentali, madornali e non certo casuali errori filosofici, in realtà veri e propri falsi truffaldini, rimandiamo al saggio che segue :
http://www.redmilitant.eu/marx-e-gentile-inconciliabili-ed-incompatibili/
e che riportiamo integralmente:
Marx e Gentile: inconciliabili ed incompatibili!
L’interpretazione gentiliana di Marx, come hegeliano comunista, è viziata dalla incapacità teoretica del Gentile di cogliere ed analizzare i motivi teoretici che spingono Marx a liberare la ricerca durante il periodo giovanile, da ogni limite dogmatico-metafisico, dalle barriere del metafisicismo. A partire dalla filosofia marxiana, la metafisica diventa il caput mortuum, l’asilum ignorantiae di ogni ragione ipostatizzante.
Questo limite critico in Gentile è particolarmente grave perchè il nostro critico della metafisica dell’essenza[1], anche se ha pubblicato le tesi di Marx su Feuerbach,[2] è stato incapace di cogliere la portata teoretico-antimetafisica della filosofia marxiana e segnatamente dell’XI Tesi: “I filosofi hanno solo interpretato il mondo, in modi diversi, si tratta piuttosto di mutarlo”.
Questa tesi, in forma concisa, costituisce la critica più profonda che sia stata mossa alla metafisica dell’essenza, alla metafisica idealistica, al suo fondamento teoricistico e alla sua intrinseca tautologia.
Marx respinge l’idea del sapere metafisico che sostiene la validità di un sistema di valori assoluti come norma dell’operare in esso, e restituisce la teoresi al mondo dell’umanità per cui il sapere diventa sapere pragmatico, cioè sapere per fare che, penetrando la struttura dialettica della storia, attraverso l’esperienza dei suoi conflitti, individua, definisce le forze operanti interessate alla creazione nella storia di una realtà universale umana indicando loro una concreta direzione di lotta; esso è, pertanto, l’azione stessa nel suo determinarsi e superarsi storico in una realtà di cui essa è un momento essenziale.
Questa incapacità di leggere Marx, o il vizio di origine di leggerlo come hegeliano comunista, culmina nella prefazione del Gentile all’opera “La filosofia di Marx” allorchè definisce il pensiero di Marx come una “metafisica o intuizione del mondo”,[3] come un “materialismo metafisico”.[4]
L’ottusità anticomunista porta Gentile a formulare giudizi profondamente sbagliati su Marx. Non bisogna essere dei “geni” come Gentile o come i rivisitatori del pensiero di Marx del XXI secolo per capire che Marx non può essere un metafisico perché nel suo pensiero i concetti, mai esaustivi, hanno perduto il loro valore ontologico per assumere un carattere metodologico; le soluzioni dei problemi, pertanto, hanno il valore di soluzioni limite, non definitive, non esaustive; il sapere, cioè l’esigenza storica di teoreticizzare il reale empirico, è mosso dalla coscienza che esso è un processo aperto, infinito. E’ questo lo spartiacque che separa lo storicismo metafisico gentiliano dallo storicismo critico-antimetafisico marxiano.
Per cogliere gli errori principali in cui cade Gentile esaminiamo il concetto di realtà.
Per Gentile, gli “hegeliani comunisti” (e quindi Marx) non capiscono che la realtà nella sua autonomia, è un accidens, l’accidentalità, il me on, e che ha il suo significato in quanto si inscrive nell’Assoluto; l’aver capito ciò è il merito di Hegel. Osserva il nostro: “L’Idea, lungi di essere opposta alla realtà, è, per Hegel l’essenza del reale. […] E la materia del materialismo storico, lungi dall’essere esterna ed opposta alla Idea di Hegel, vi è dentro compresa, anzi è una cosa medesima con essa, poiché, […] lo stesso relativo (ché esso è la materia di cui si parla) non solo non è fuori dall’assoluto, ma è identico ad esso”.[5]
Grave errore degli “hegeliani comunisti” è quello di considerare il “relativo […] da una parte, qui, giù […] e l’assoluto lassù […] l’uno insomma di fronte all’altro in due campi nemici”[6]”di aver buttato all’aria l’assoluto […] per tenersi al fatto, al dato dell’esperienza cioè al relativo”[7] e di costringere il relativo “a far le parti dell’assoluto. […] Immanente l’assoluto; […] immanente il relativo. L’assoluto si sviluppa dialetticamente; quindi […] si sviluppa dialetticamente il relativo. Il processo dell’assoluto si determina a priori; e però determinabile pure a priori […] il relativo”.[8]
Inoltre l’errore di Marx è di avere esteso la dialettica triadica dell’assoluto alla realtà storica: “Fichte diceva tesi, antitesi, sintesi, essere, non essere, divenire Hegel. […] Il soggetto, l’attività pratica di Marx è la tesi; le circostanze, l’educazione sono l’antitesi; il soggetto modificato dalle circostanze e dall’educazione, la sintesi”;[9] infine “il materialismo storico […] riesce uno dei più sciagurati deviamenti del pensiero hegeliano, in quanto riconduce ad una metafisica (scienza necessaria ed assoluta) del reale inteso come oggetto alla maniera prekantiana; e, quel che è più, trascina alla concezione di una dialettica, determinabile a priori, del relativo”.[10]
Sfugge al Gentile, e in ciò è il limite teoretico del suo pensiero, che gli schemi teoretici del giovane Marx, nati dall’esperienza hegeliana, sono antitetici alla metafisica idealistica e alle concezioni universalistiche della coscienza borghese. Essi, infatti, sono gli strumenti che hanno permesso a Marx di concepire un realismo attivo come principio del rinnovamento della vita dell’umanità che crea dalla sua realtà a se stessa il proprio mondo e il proprio destino (es. il procedimento di autoliberazione dell’umanità dalle sue alienazioni storiche descritto nei Manoscritti).
Il dilettantismo culturale gentiliano, cioè il suo stendere Marx sul letto di Procuste di Hegel, non è un lapsus storico-teoretico, perché esso ha una portata pratica anticomunista.
Il suo intento, apertamente dichiarato, è colpire Marx, la teoria del materialismo storico “da lui messa a leva di una gravissima dottrina sociale”[11] e “tutto lo scheletro insomma di quella filosofia, che si vuole insita nella concezione materialistica della storia, posta a fondamento della dottrina comunista”.[12]
Questa affermazione d’intenti è la prova che è falso il tentativo, in sede filosofica, di voler valutare il pensiero gentiliano al di fuori della sua partecipazione organica al regime dittatoriale, autoritario, poliziesco, repressivo fascista, dalla riforma della scuola alla elaborazione della prima parte della Dottrina del Fascismo, all’appello all’unità degli italiani intorno alla R.S.I.
Al teorico di Marx hegeliano comunista sfugge che Marx è portatore di un nuovo ideale di filosofia come impegno pratico-ontologico di trasformazione del mondo.
Filosofare, dopo la lezione di Marx, significa intendere razionalmente questo umano mondo degli uomini in ogni sua dimensione, per operare dentro e mutarlo collaborando con gli altri, per conquistare per sè e per gli altri sempre nuove libertà.
Infine vogliamo evidenziare altri due punti della riflessione di Gentile che costituiscono lo stravolgimento delle tesi di Marx. Dice Gentile: una filosofia che vuole essere materialistica “non può quindi ammettere un pensiero come tale; anzi il pensiero considera forma derivata ed accidentale dell’attività sensitiva. Questa è l’attività originaria; e in essa è quindi la radice e la sostanza del pensiero. […] L’organismo del pensiero non è se non l’organismo di quest’attività”.[13]
Il filosofo dell’atto ignora che Marx nei Manoscritti aveva affermato che il sapere è un’unità dialettica di due distinti qualitativi (e non quantitativi come in Hegel): la ratio essendi o senso [materia] e la ratio cognoscendi o pensiero dove il primo momento porta al conoscere e il secondo momento costituisce il processo del conoscere.
L’altra tesi gentiliana è la valutazione del materialismo storico come filosofia della storia.
Il filosofo fascista ignora che Marx non prescrive alla storia un corso ideale in funzione di una chiusa visione del mondo; il materialismo storico non definisce l’essenza dell’uomo in cui sia giustificata la sua storicità e quindi Marx non determina il senso e il fine ultimo della storia.
Ciò non è capito dal Gentile che scrive: “Lo Stato comunista, termine ultimo e conseguenza del movimento sociale, deve provenire da una serie di trasformazioni, preordinate, a quanto sembra a quel fine”.[14] Gentile non coglie che il comunismo per Marx è una soluzione limite non esaustiva della problematica storica e proprio per questo suo carattere esso chiude la preistoria dell’umanità e apre la storia.[15]
Il materialismo storico non è una forma di determinismo economico. Scrive Gentile: “le circostanze storiche non operano sul sostrato economico, e non possono deviare il movimento dialettico, se sono costruzioni dell’uomo economico; e sono attinenti ai fatti stessi economici rientrano esse stesse nell’ingranaggio di quella dialettica storica, che Marx ha mutuata da Hegel. Se ciò non fosse, non sarebbe più vero che l’economia è l’essenza della storia, e che questa si spiega tutta per le condizioni variabili di quella”.[16]
E’ da osservare che interpretare la riduzione dei fatti storici a fatti economici è interpretare il piano economico in senso antimarxista come la sfera dell’uomo economico contrapposta alle sfere degli altri valori; nel pensiero di Marx non esiste alcuna differenza di valore ontologico tra il piano radicale della realtà storica (la struttura economica) e gli altri piani (la sovrastruttura), essendo l’uomo il creatore di tutti essi. Inoltre sul piano fondamentale – economico – per Marx s’innestano le reazioni specifiche della sovrastruttura di cui si compone la complessa realtà umana.
Le sciocchezze antimarxiane in Gentile sono innumerevoli, ma per il momento ci fermiamo a questo punto.
[1] Gentile, infatti, rimproverava alla metafisica dell’Essere di essere un’ontologia realistico-statica (l’Essere è una realtà che esiste in sé, indipendentemente dal soggetto); in contrapposizione ad essa sosteneva la dinamicità dello Spirito come realtà in fieri.
[2] G. Gentile, La filosofia di Marx, Sansoni, 1974, Firenze, pp. 68-71.
[3] G. Gentile, La filosofia di Marx, cit., p. 6
[4] Ibidem, p. 4.
[5] Ibidem pp. 54-55.
[6] Ibid .p. 55.
[7] Ibidem, p.56.
[8] Ibidem, pp. 56-57.
[9] Ibidem, p. 85.
[10] Ibidem, p. 58.
[11] Ibidem, p. 63.
[12] Ibidem, p. 71.
[13] Ibidem p. 83.
[14] Ibidem, p. 29.
[15] “I rapporti di produzione borghesi sono l’ultima forma antagonistica del processo di produzione sociale; antagonistica non nel senso di un antagonismo individuale, ma di un antagonismo che sorga dalle condizioni di vita degli individui. Ma le forze produttive che si sviluppano in seno alla società borghese creano in pari tempo le condizioni materiali per la soluzione di questo antagonismo. Con questa formazione sociale si chiude dunque la preistoria della società umana.” in K. Marx, Per la critica dell’economia politica, Editori Riuniti, 1957, Roma, pp. 11-12.
[16] Ibidem, pp. 43-44.